Cadmio: cos’è e danni alla salute
Il cadmio è un metallo pesante. L’esposizione al cadmio può causare gravi danni alla salute. L’esposizione può essere di natura professionale e connessa a numerose categorie lavorative. Tra queste figurano anche i militari impegnati in missioni all’estero o esercitazioni in cui sono stati utilizzati i proiettili all’uranio impoverito. Durante la denotazione disperdono nell’ambiente nanoparticelle di metalli pesanti che contaminano l’aria, il suolo e l’acqua e la catena alimentare.
Il cadmio è utilizzato in numerosi processi industriali e può contaminare gli alimenti causando un’esposizione di natura non professionale.
In questa pagina scopriamo cos’è il cadmio, dove si trova e quali sono le categorie professionali a rischio. Scopriamo le soglie di cadmio ammesse dalla legge nella concentrazione negli alimenti e tutto sugli effetti sulla salute di questo patogeno e sulla prevenzione. Vediamo in particolare quali sono le malattie correlate all’esposizione al cadmio, professionale ed extra-professionale.
Le vittime di esposizione professionale al cadmio hanno diritto al riconoscimento di malattia professionale e all’erogazione delle prestazioni economiche e socio sanitarie dell’INAIL o causa di servizio. Hanno anche diritto al risarcimento completo dei danni subiti, patrimoniali e non patrimoniali (danno biologico, danno morale ed esistenziale).
L’ONA – Osservatorio Nazionale Amianto ha istituito il Dipartimento Vittime del Dovere per l’assistenza medica e legale alle vittime del dovere. Attraverso la richiesta di una consulenza gratuita è possibile ottenere l’assistenza legale, oltre a quella medica e psicologica.
Cadmio: che cos’è questo metallo?
Cos’è il cadmio? Il cadmio è un metallo pesante piuttosto raro in natura. Non lo si trova libero, ma sempre associato nei minerali di zinco. Si presenta di colore bianco-argenteo con riflessi azzurrognoli ed è piuttosto tenero, tanto che può essere tagliato con un coltello. Nella tavola periodica è l’elemento chimico di numero atomico 48 e il suo simbolo è Cd.
Esistono anche alcuni rari minerali del cadmio quali il solfuro (greenockite) e il carbonato basico (otavite). Il cadmio viene estratto in genere come sottoprodotto dell’estrazione e della raffinazione dello zinco e, in minor misura, del piombo e del rame. Piccole quantità di cadmio (circa il 10% del consumo totale) provengono dal riciclaggio di rottami di ferro e d’acciaio.
Il cadmio, scoperto già all’inizio del 1800 fu usato regolarmente nell’industria solo a partire dalla Prima Guerra Mondiale. Prima ancora però la farmacopea britannica (British Pharmaceutical Codex) annoverava lo ioduro di cadmio tra i medicinali per curare “le giunture ingrossate, la scrofola e i geloni”.
Il cadmio è tossico anche a basse concentrazioni e tende ad accumularsi negli organismi e negli ecosistemi.
Dove si trova il cadmio e dove è utilizzato?
Dove si trova il cadmio? Come già detto è un metallo non presente liberamente in natura. Ampiamente utilizzato per la fabbricazione delle pile elettriche viene immesso negli ambienti attraverso i reflui, la contaminazione con fertilizzanti. Il fumo di sigaretta aumenta i livelli di cadmio nell’aria negli ambienti interni.
L’acqua può risultare contaminata quando è presente sotto forma di impurezza nello zinco di condutture galvanizzate o nelle saldature di cadmio degli impianti di riscaldamento e di raffreddamento dell’acqua e nei rubinetti. I livelli di cadmio possono essere più elevati in aree rifornite di acqua dolce con basso pH, perché questo tipo di acqua tende ad essere più corrosiva nei sistemi condottati che contengono cadmio.
Si stima che attraverso l’alimentazione introduciamo tutti i giorni 10-35 μg. di cadmio. L’ingestione attraverso l’acqua è generalmente inferiore a 2 μg/die. Il fumo di sigaretta aumenta l’introito giornaliero di cadmio di circa 2-4 μg (per 20 sigarette fumate). L’esposizione attraverso l’aria dell’ambiente non supera gli 0,8 μg/die.
Usi del cadmio e categorie professionali a rischio
Come già accennato, il cadmio è largamente e principalmente utilizzato nella produzione delle batterie elettriche, in particolare nelle pile al nichel-cadmio. Viene usato anche per produrre pigmenti, rivestimenti e stabilizzanti per materie plastiche, in misura minore.
Viene inoltre utilizzato in alcune leghe metalliche per la saldatura, nelle cadmiature (rivestimento di materiali con una pellicola di cadmio metallico), nella stabilizzazione del PC e come barriera per controllare le reazioni di fissione naturale. Ancora per produrre i fosfori dei televisori.
Le categorie professionali a rischio di esposizione al cadmio annoverano gli addetti alla produzione di leghe contenenti cadmio, alla cadmiatura degli oggetti metallici e alla saldatura ad elettrodi, nei casi in cui contengano cadmio.
L’esposizione professionale prolungata può portare alla morte della vittima in sole 8 ore di esposizione.
Cadmio e uranio impoverito
Come già accennato l’esposizione al cadmio e a altri metalli pesanti è connessa anche all’utilizzo di munizioni all’uranio impoverito. Questo metallo radioattivo e altamente denso ha un potere perforante particolarmente alto. Durante la denotazione i proiettili e i target centrati rilasciano nanoparticelle di metalli pesanti, tra cui può essere presente il cadmio.
I militari italiani impiegati nelle guerre in Kosovo, in Libano e in Iraq e in alcune esercitazioni hanno riportato gravi malattie connesse all’esposizione a metalli pesanti, tra cui la Sensibilità Chimica Multipla. Citiamo brevemente il caso del Colonnello Calcagni, contaminato da 28 metalli pesanti durante le missioni svolte nei teatri di guerra in cui veniva usato l’uranio impoverito, intervenuto nel corso della quinta puntata di ONA TV.
Prevenzione primaria: come evitare l’esposizione
La prevenzione primaria è fondamentale. Nel maneggiare il cadmio e i suoi composti è importante lavorare sotto una cappa aspirante in modo da non inalare i vapori del metallo tossico.
Le polveri di cadmio vengono assorbite soprattutto per via inalatoria e in minima parte tramite cute e mucose, quindi è proprio le vie respiratorie che è necessario proteggere per evitare le esposizioni dannose.
Una volta assorbito, il cadmio si lega ai globuli rossi e alle proteine plasmatiche per poi accumularsi nel fegato e nei reni. In questi organi può permanere anche per diversi anni, rendendo difficile il monitoraggio biologico dell’esposizione acuta. Una volta depositato, lo smaltimento avviene assai lentamente attraverso le feci e le urine.
Esposizione al cadmio: prevenzione secondaria e terziaria
La prevenzione secondaria si avvale di un’attenta anamnesi lavorativa per una diagnosi efficace. Gli esami adatti a evidenziare la presenza del metallo pesante nell’organismo possono essere infatti suggeriti non solo dai sintomi del paziente, ma dalla storia lavorativa.
In caso di esposizione lavorativa entra in gioco la prevenzione terziaria che attraverso la tutela legale degli esposti permette di prevenire nuove esposizione e assicurare il giusto indennizzo e il risarcimento alle vittime di malattia professionale o causa di servizio.
Come già accennato, per i dipendenti privati e del pubblico impiego privatizzato entrano in campo le tutele previdenziali dell’INAIL, mentre per i dipendenti delle Forze Armate, del Comparto Sicurezza e Vigili del Fuoco si parla di causa di servizio ed equo indennizzo.
Esposizione al cadmio e danni alla salute
L’accumulo dl metallo pesante nell’organismo a lungo andare può causare differenti disturbi. Gli organi che ne risentono maggiormente sono i reni, la cui attività può essere compromessa dalla presenza di questo metallo conducendo nei casi peggiori a insufficienza renale.
Un eccesso di cadmio può inoltre procurare diarrea, mal di stomaco e vomito, un processo di demineralizzazione delle ossa che può causare fratture, problemi di fertilità, danneggiamenti al sistema nervoso e a quello immunitario e disturbi psicologici.
Il cadmio è inserito tra le sostanze cancerogene del gruppo 1 dello IARC (International Agency for Research on Cancer). Qui torvate la monografia sul cadmio con gli studi che lo correlano al cancro ai polmoni, cancro della prostata, del fegato, del pancreas e del seno, della vescica e dell’endometrio.
Il cadmio è stato protagonista di un grande inquinamento del suolo e delle acque in Giappone che ha causato l’insorgere della malattia itai-itai. Nel 1912 in seguito al rilascio nei fiumi nella prefettura di Toyama di grandi quantità di questo metallo pesante ad opera delle compagnie minerarie, ci fu un grande avvelenamento di massa. Causò una grave fragilità ossea e cedimenti renali. Itai in giapponese significa “doloroso” e rimanda ai forti dolori alle ossa e alla spina dorsale.
Patogenesi e sintomi di avvelenamento
Il cadmio plasmatico si lega principalmente alla metallotioneina, una proteina plasmatica contenente diversi gruppi sulfidrilici. L’eliminazione dela proteina contenente il metallo avviene attraverso la filtrazione glomerulare per poi essere riassorbita dalle cellule del tubulo prossimale, nelle quali provoca tossicità. La larga quota riassorbita spiega perché nelle fasi iniziali dell’esposizione venga debolmente escreto con le urine (escrezione comunque significativa). Successive e durature esposizioni fanno sì che la tossicità sulle cellule tubulari porti all’incapacità da parte del rene di riassorbire il cadmio escreto.
Un’esposizione a polveri di cadmio pari a 5 mg/m³ è letale in circa 8 ore; esposizioni pari a 1 mg/m³ possono invece dare una tossicità rilevante a livello dell’albero respiratorio, con dispnea, tosse, febbre e astenia. L’ingestione di alimenti contaminati provoca invece una sindrome gastroenterica caratterizza da diarrea, nausea, vomito e disidratazione.
Indicatori di dose e di effetto del Cadmio
L’unico indicatore di dose disponibile è il cadmio urinario. Come descritto nel paragrafo “patogenesi”, il cadmio urinario viene escreto sia nelle prime fasi di esposizione sia quando sopraggiunge il danno renale. Inoltre per l’immagazzinamento nel parenchima epatico e renale, la cadmiuria può rimanere elevata anche dopo molto tempo dall’esposizione. Per questo, la cadmiuria è un buon indicatore di dose solo se contestualizzato all’interno di una precisa anamnesi lavorativa.
La nefropatia da cadmio provoca l’escrezione di diverse proteine a basso peso molecolare. Per questo, se vi è cadmiuria, ritrovare queste proteine a livello renale è un indicatore tipico di danno renale. Tra queste hanno particolare importanza la N-acetil-glucosaminidasi e la proteina legante il retinolo. Il danno renale cronico può essere sospettato ogni qualvolta la proteinuria rimanga elevata anche dopo cessata esposizione.
Esposizione al cadmio negli alimenti nella normativa europea
In ambito alimentare il reg. CE 1881/04 insieme ai più recenti Regolamento (UE) 2021/1323 e Regolamento (UE) 2021/1317 normano i limiti per piombo e cadmio nei Paesi europei.
Secondo il parere dell’EFSA – Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, l’esposizione media degli adulti europei è prossima o leggermente superiore alla dose tollerabile. Inoltre, per alcuni gruppi di consumatori, come vegetariani, vegani, bambini e persone che vivono in aree particolarmente contaminate, i livelli di assunzione possono raggiungere il doppio della dose tollerabile.
Già nel 2014 erano stati stabiliti nuovi limiti per gli alimenti destinati a lattanti e bambini, per il cioccolato e per i prodotti a base di cacao. Per altri alimenti era stata scelta una strategia di “soft” tramite l’implementazione di metodi di attenuazione. Tale strategia ha confermato che la riduzione delle concentrazioni di Cadmio è possibile, per cui sono stati emanati i nuovi limiti.
Dose di Cadmio nell’acqua secondo l’OMS
La OMS ha stabilito un valore guida di 3 μg/L. Il D.Lvo 31/2001 ha fissato un valore di parametro di 5,0 μg/L per l’acqua potabile. Attraverso i processi di coagulazione o precipitazione è possibile raggiungere la concentrazione di 0,002 mg/L nell’acqua destinata al consumo umano.
Cadmio: malattia professionale e indennizzo INAIL
L’esposizione professionale provoca le seguenti malattie professionali riconosciute dall’INAIL e inserite nelle apposite tabelle stilate dall’ente assicuratore:
- broncopneumopatia cronica ostruttiva (J68.4), inserita nella lista I dell’INAIL tra le malattia ad elevata probabilità di origine professionale e indennizzabile dall’INAIL per un massimo di 6 anni dal termine dell’esposizione lavorativa;
- nefropatia tubolare (N14.3), inserita nella Lista I e indennizzabile per un massimo di 3 anni;
- osteomalacia (M83), nella Lista I e indennizzabile per un massimo di 6 anni;
- cancro del polmone (C34), sempre nella lista I e indennizzabile per un periodo illimitato;
- tumore della prostata, inserito nella lista II dell’INAIL, indennizzabili per un periodo massimo illimitato;
- riniti, rinofaringiti e faringiti croniche, inserite nella lista I dell’INAIL e indennizzabili per 3 anni;
- altre malattie legate all’esposizione al cadmio e composti.
Le malattie della lista II al contrario di quelle della Lista I, non si presumono di origine professionale. Quindi, la prova della loro origine professionale deve essere fornita dal lavoratore dimostrando la presenza del cadmio nelle condizioni e nel luogo di lavoro ed il nesso causale. L’Osservatorio Nazionale Amianto fornisce l’assistenza legale gratuita per l’ottenimento delle tutele INAIL o causa di servizio per i dipendenti delle Forze Armate e il risarcimento integrale dei danni subiti.
Esposizione al cadmio e normativa di riferimento
Il Cadmio figura tra i metalli pesanti individuati ex art. 1078 (Capo II – Soggetti che hanno contratto infermità o patologie tumorali per particolari condizioni ambientali ed operative) del D.P.R. 15 marzo 2010 n. 90 quali responsabili, se introdotti nell’organismo umano in dimensioni nanometriche, dell’insorgenza di patologie tumorali; al pari delle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti.
L’art. 603 del Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare) al LIBRO TERZO Amministrazione e contabilità – Titolo III Bilancio, norme di spesa, fondi da ripartire – Capo II Norme di spesa – Sezione VI Norme di spesa in relazione al Libro VII, (Autorizzazione di spesa per indennizzi al personale italiano esposto a particolari fattori di rischio) dispone:
1. “Al fine di pervenire al riconoscimento della causa di servizio e di adeguati indennizzi al personale italiano che, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura effettuate entro e fuori i confini nazionali, abbia contratto infermita’ o patologie tumorali per le particolari condizioni ambientali od operative, al personale impiegato nei poligoni di tiro e nei siti dove vengono stoccati munizionamenti, nonche’ al personale civile italiano nei teatri operativi all’estero e nelle zone adiacenti alle basi militari sul territorio nazionale, che abbia contratto le stesse infermita’ o patologie tumorali connesse alle medesime condizioni ambientali, e’ autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2008-2010”.
Esposizione a nanoparticelle nei militari in missione
Il D.P.R. n. 90/2010 all’art. 1078 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma dell’articolo 14 della Legge 28 novembre 2005, n. 246) al LIBRO SETTIMO Trattamento previdenziale e per le invalidità di servizio – Titolo I Provvidenze ai soggetti esposti a particolari fattori di rischio – Capo II Soggetti che hanno contratto infermità o patologie tumorali per particolari condizioni ambientali od operative, dispone che per missioni di qualunque natura si intendono:
a) le attività istituzionali di servizio proprie delle Forze armate e di polizia, quali che ne siano gli scopi, svolte entro e fuori del territorio nazionale, autorizzate dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sopra ordinata al dipendente;
b) per teatro operativo all’estero, l’area al di fuori del territorio nazionale ove, a seguito di eventi conflittuali, è stato o è ancora presente personale delle Forze armate e di polizia italiane nel quadro delle missioni internazionali e di aiuto umanitario;
d) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza o il sopravvenire di circostanze straordinarie o fatti di servizio che, anche per effetto di successivi riscontri, hanno esposto il personale militare e civile a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto;
e) per medesime condizioni ambientali, le condizioni comunque implicanti l’esistenza o anche il sopravvenire di circostanze straordinarie che, anche per effetto di successivi riscontri, hanno esposto il cittadino a un rischio generico aggravato”.
Chi ha diritto alla causa di servizio in caso di esposizione a UI?
Il successivo art. 1079 (Principi generali e ambito di applicazione) prevede che ai soggetti di cui al citato articolo 603 del Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 sono corrisposte le elargizioni previste per le vittime del dovere “quando le condizioni di cui all’articolo 1078, comma l, lettere d) ed e), ivi comprese l’esposizione e l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico, hanno costituito la causa ovvero la concausa efficiente e determinante delle infermità o patologie tumorali permanentemente invalidanti o da cui è conseguito il decesso.
Tutti i soggetti beneficiari dell’elargizione
2. I soggetti [beneficiari dell’elargizione] di cui al comma 1 sono:
a) il personale militare e civile italiano impiegato nelle missioni di qualunque natura;
b) il personale militare e civile italiano impiegato nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti;
c) il personale militare e civile italiano impiegato nei teatri operativi all’estero e nelle aree di cui alle lettere a) e b);
d) i cittadini italiani operanti nei settori della cooperazione ovvero impiegati da organizzazioni non governative nell’ambito di programmi aventi luogo nei teatri operativi all’estero e nelle aree di cui alle lettere a) e b);
e) i cittadini italiani residenti nelle zone adiacenti alle basi militari sul territorio nazionale presso le quali è conservato munizionamento pesante o esplosivo e alle aree di cui alla lettera b). Per zone adiacenti si intendono quelle rientranti nella fascia di territorio della larghezza di 1,5 chilometri circostante il perimetro delle basi militari o delle aree di cui alla lettera b);
f) il coniuge, il convivente e i figli superstiti dei soggetti di cui alle lettere a), b), c), d) ed e), i genitori ovvero i fratelli conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti, in caso di decesso a seguito delle patologie di cui all’articolo 603 del codice”.
Interdipendenza in particolari condizioni
Si evidenzia che ciò che rileva è anche il concetto di interdipendenza, in ordine alle particolari condizioni, per cui, «Il fatto che, allo stato delle conoscenze scientifiche, non sia acclarata l’effettiva valenza patogenetica dell’esposizione all’uranio impoverito non osta, dunque, al diritto alla percezione dell’indennità, che comunque spetta allorché l’istante abbia contratto un’infermità verosimilmente a causa di “particolari condizioni ambientali ed operative”, di cui “l’esposizione e l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico” costituiscono solo un possibile aspetto» (Consiglio di Stato, II sezione, n. 5816/2021).
Cadmio e tutela legale degli esposti
L’ONA e il Dipartimento Vittime del Dovere forniscono l’assistenza legale gratuita per l’ottenimento dello status di vittima del dovere e causa di servizio e di tutte le prestazioni INAIL per i dipendenti pubblici. Difendono le vittime e i loro famigliari: entrambi hanno diritto al risarcimento integrale dei danni subiti a causa dell’esposizione dannosa.