Guerra in Kosovo e Uranio Impoverito
Durante il conflitto in Kosovo e nelle guerre jugoslave, si è assistito per la prima volta nella storia bellica mondiale all’utilizzo di uranio impoverito. Questo metallo ha causato gravi malattie sia tra i militari coinvolti nelle operazioni che nella popolazione civile.
Le patologie riscontrate in seguito a queste guerre sono da attribuire all’inalazione e all’assorbimento di nanoparticelle generate dalla combustione ad altissima temperatura di bersagli metallici, colpiti dai proiettili contenenti uranio impoverito impiegati nelle operazioni militari.
Nel contesto della Guerra del Kosovo, esploriamo approfonditamente la tutela legale per il personale delle Forze Armate italiane coinvolto nelle missioni.
I militari che hanno contratto malattie durante l’adempimento dei loro doveri professionali, hanno diritto allo status di vittime del dovere, con una serie di benefici che vedremo nel dettaglio.
L’ONA – Osservatorio Nazionale Amianto e l’Avv. Ezio Bonanni, suo Presidente, sono impegnati da molti anni nell’assistenza legale a numerosi militari dell’Esercito e della Marina Militare Italiana che hanno contratto malattie derivanti dall’utilizzo di uranio impoverito.
Hanno creato l’Osservatorio Vittime del Dovere per fornire l’assistenza legale a tutti i militari esposti a sostanze nocive nell’esercizio della loro professione.
Gli effetti del metallo sono spesso accentuati da una scorretta procedura vaccinale, e in alcuni casi, le cause legali sono ancora in corso. Oltre alla tutela legale, l’impegno dell’ONA si estende all’informazione e alla sensibilizzazione attraverso convegni e articoli su questo preoccupante tema che coinvolge lo Stato.
Guerra del Kosovo: i fatti salienti
La Guerra del Kosovo, svoltasi tra febbraio 1998 e giugno 1999 nel territorio montuoso del Kosovo nella parte Sud-Occidentale della Penisola Balcanica, rappresenta un capitolo significativo delle guerre jugoslave che ebbero luogo dal 1996 al 1999. Questi conflitti contribuirono alla disgregazione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, precedentemente mantenuta unita da un governo socialista che spesso utilizzava la forza per gestire diverse istanze nazionalistiche, caratterizzate da antichi conflitti territoriali, etnici e religiosi.
L’insofferenza nei confronti delle strutture federali emerse inizialmente con la Slovenia, che votò per l’indipendenza nel 1991, dando il via alla guerra di indipendenza slovena. Questo fu seguito da una serie di conflitti, tra cui il conflitto serbo-croato. Nel 1995, le truppe di pace della NATO entrarono nei Balcani dopo gli accordi di pace di Dayton e l’accordo di Erdut, ma ignorarono la questione etnica albanese nel Kosovo, che da tempo chiedeva l’indipendenza dalla Serbia.
La Guerra del Kosovo vide il confronto tra le truppe jugoslave e l’Ushtria Çlirimtare e Kosovës (UÇK), favorevole all’indipendenza del Kosovo. Nel marzo 1999, la NATO intervenne con l’Operazione Allied Force, una campagna di attacchi aerei contro la Repubblica Federale di Jugoslavia. Dopo le dimissioni di Milošević e gli accordi di pace internazionali, la NATO svolse la missione KFOR in Kosovo, mirando a creare un ambiente sicuro per il ritorno dei rifugiati e per l’insediamento di attività civili internazionali.
Le missioni italiane nella Guerra del Kosovo
Il contingente italiano durante la Guerra del Kosovo fu schierato in un’area particolarmente colpita dai bombardamenti e dalla presenza di proiettili ad uranio impoverito. Questa zona rappresentava il 44,64% dei siti e il 56,47% dei proiettili utilizzati nel conflitto. La puntata di ONA TV intitolata “Uranio impoverito, la dura battaglia dei militari italiani” approfondisce i rischi per i soldati italiani legati all’utilizzo di uranio impoverito nell’ex-Jugoslavia.
L’utilizzo di armi all’uranio impoverito in Kosovo
Durante la guerra, la NATO impiegò armamenti come missili “Cruise” e “Tomahawk” e aerei Fairchild A-10 “Warthog” che utilizzavano munizioni contenenti uranio impoverito. Il rilascio atmosferico di fumi e polveri contenenti metalli pesanti radioattivi durante questi attacchi contaminò temporaneamente l’atmosfera, depositandosi successivamente su suolo, terreni e corpi idrici, entrando nella catena alimentare.
Gli effetti a lungo termine di questa contaminazione includono danni biologici e un aumento della probabilità di patologie tumorali. La letteratura scientifica internazionale riconosce le proprietà genotossiche di sostanze come l’uranio impoverito, i metalli pesanti, il particolato e le nanoparticelle, aumentando il rischio di tumori e malformazioni genetiche nelle generazioni future, anche a livelli relativamente bassi di esposizione.
Cos’è e dove si trova l’Uranio Impoverito (UI)?
Si tratta di un sottoprodotto del processo di arricchimento dell’Uranio, in cui l’Uranio-235 (U235) viene impoverito di due terzi del suo contenuto originario di Uranio naturale. La sua elevata densità (19 g/cm3) lo rende efficace per la penetrazione delle corazzature.
Le proprietà chimiche e metalliche dell’UI sono simili a quelle dell’Uranio naturale, comportando rischi simili in termini di tossicità chimica e radiologica. Classificato come materiale utilizzabile solo dietro autorizzazioni generali specifiche dalla Commissione di Regolamentazione del Nucleare degli Stati Uniti, l’autorizzazione generale consente l’uso e il trasporto di UI fino a 150 libbre all’anno, mentre autorizzazioni specifiche richiedono una documentazione dettagliata sull’uso previsto.
L’impatto di proiettili di uranio impoverito, durante il loro rilascio ad alta temperatura, introduce nanoparticelle di metalli pesanti nell’ambiente. Tra questi, il piombo, classificato come possibile cancerogeno dallo IARC (volume 77 del 2006), può causare danni biologici indipendentemente dalla sua cancerogenicità.
In caso di inalazione di uranio impoverito, il metallo radioattivo si deposita nei polmoni e in altri organi, aumentando il rischio di diversi tipi di cancro. Nei Paesi maggiormente colpiti, si è registrata la “Sindrome dei Balcani”, associata a malattie del sistema ematopoietico e gastrointestinale tra militari e civili. Questa sindrome ha colpito oltre 7.500 militari italiani, con circa 400 decessi.
I danni alla salute per contaminazione nel dettaglio
I danni alla salute causati dalla contaminazione interna includono danni chimici ai reni e accumulo di composti nell’osso. Gli isotopi dell’uranio, con lunga emivita e radiazione corpuscolare, provocano danni chimici e radiologici agli organi bersaglio, aumentando il rischio di cancro.
Le radiazioni beta e gamma provenienti dall’UI rappresentano rischi chimici e fisici, con l’uranio trattenuto nei polmoni che può causare lesioni neoplastiche come il carcinoma epidermoide. Pertanto, la contaminazione da UI costituisce un rischio significativo per la salute, sia dal punto di vista chimico che fisico, se l’uranio entra nell’organismo attraverso diverse vie.
Col. Calcagni contaminato da uranio e metalli pesanti

Nel corso della quinta puntata di ONA TV, è intervenuto il Colonnello Carlo Calcagni, elicotterista nei Balcani e in particolare nel teatro di guerra della Bosnia Erzegovina. Contaminato dall’Uranio Impoverito e da 28 metalli pesanti soffre di ben 24 patologie. Quando racconta il suo calvario parla di oltre 300 punti di sutura e di quotidiane terapie che è costretto a subire ogni giorno, tra cui dialisi e circa 300 medicinali al giorno.
La sua è una doppia battaglia: per la vita in primis e per far capire quanto sia pericolosa la contaminazione da amianto, uranio, metalli pesanti sui teatri di guerra. Il colonnello è, infatti, la dimostrazione vivente del nesso causale tra contaminazione e patologie che hanno colpito lui, ma anche i suoi figli.
Il Colonnello Calcagni è intervenuto anche al convegno dell’ONA “Guerra e pace: vittime del dovere” tenutosi a inizio 2023 presso il Campidoglio, portando avanti un’ampia campagna di sensibilizzazione perché non esistano più vittime del dovere e perché le istituzioni non ignorino la gravità dei fatti. Come vedremo in seguito infatti, lo status di vittime del dovere e il nesso causale per la causa di servizio, nel caso di esposizione a Uranio Impoverito e nanoparticelle di metalli pesanti, è di difficile riconoscimento da parte dell’Amministrazione.
Chi sono le vittime del dovere ed equiparazione totale
Le vittime del dovere sono individui che hanno prestato servizio in attività specifiche, come definite nell’articolo 1, comma 563, Legge 266/2005. Nel tempo, queste protezioni si sono estese anche a coloro che hanno partecipato a missioni e attività in condizioni ambientali e operative particolari.
In caso di infermità o decesso, si ha diritto al riconoscimento dello status di vittima del dovere.
In tutti i casi in cui ciò è avvenuto:
- nel contrasto ad ogni tipo di criminalità;
- nello svolgimento di servizi di ordine pubblico;
- nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari;
- in operazioni di soccorso;
- in attività di tutela della pubblica incolumità;
- a causa di azioni in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità.
L’equiparazione a vittima del dovere avviene quando le lesioni si verificano in condizioni di rischio al di là dell’ordinario svolgimento del servizio. Queste condizioni straordinarie includono l’esposizione ad asbesto, nanoparticelle per proiettili di uranio impoverito e radiazioni ionizzanti.
Le categorie equiparate a vittime del dovere comprendono magistrati, militari, forze dell’ordine, personale civile di vari corpi e altre categorie coinvolte in attività di servizio pubblico.
Quali sono i benefici previsti per le vittime del dovere?
I benefici previsti per le vittime del dovere includono un elargizione speciale, un assegno vitalizio mensile, assegni aggiuntivi per lesioni invalidanti, annualità di pensione per i beneficiari della reversibilità, esenzione Irpef sulle pensioni, assunzione prioritaria e altri vantaggi come l’accesso alle borse di studio e l’assistenza psicologica.
Il riconoscimento come vittima del dovere è imprescrittibile, garantendo la tutela anche oltre 10 anni dall’evento lesivo.
L’ingiustizia ai danni degli orfani non a carico fiscale
L’equiparazione alle vittime del terrorismo è stata consolidata, ma l’inclusione degli orfani nel carico fiscale rimane un punto dibattuto, con pronunce legali significative a favore della tutela degli orfani non a carico fiscale.
Si applicherebbe, secondo l’Avvocatura dello Stato infatti, l’art. 6, comma 1, n. 1 della L. 466/1980, che identifica tra i superstiti solo i figli nel carico fiscale e il coniuge.
Questa discriminazione è inaccettabile. La vicenda è stata rimarcata nei suoi aspetti paradossali, dallo stesso Avv. Ezio Bonanni sentito dalla I Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica (29.10.2019).
Purtroppo, la Corte di Cassazione, ha accolto le richieste dell’Avvocatura dello Stato, ritenendo applicabile questa normativa. Così Cass. Sez. Lav., 11181 del 2022. Però, con delle eccezioni.
In attesa del Legislatore, la Corte tutela gli orfani non a carico in assenza del coniuge oppure se questi non è titolare di pensione. Infatti, secondo la stessa Cassazione, Sez. Lav. 11181/2022, sono fatti salvi i diritti degli orfani non a carico fiscale solo in questo caso.
Vittime del dovere e risarcimento danni
La vittima del dovere e i loro eredi leggittimi hanno diritto al totale risarcimento dei danni. Perciò vanno ristorati i danni patrimoniali (danno emergente e lucro cessante) e danni non patrimoniali subiti (morali, biologici, esistenziali).
I familiari eredi legittimi hanno diritto anche al risarcimento dei danni subiti iure proprio. Il risarcimento del danno parentale spetta anche a coloro che possono dimostrare un rapporto di affetto con la vittima, la cui morte comporta uno stravolgimento sostanziale della propria esistenza e radicali e fondamentali cambiamenti di vita dovuti alla perdita.
Vi sono differenti strade con cui si può conseguire l’ottenimento di un risarcimento danni, come:
- costituirsi parte civile nel processo penale e chiedere la condanna del Ministero, sia esso della Difesa, dell’Interno, o dell’Economica e delle Finanze, in solido con gli imputati, al risarcimento dei danni da reato (lesioni colpose in caso di patologia oppure omicidio colposo in caso di decesso);
- esercitare l’azione civile presso il TAR, facendo valere la responsabilità contrattuale per violazione dell’obbligo di sicurezza;
- esercitare l’azione civile con azione presso il Tribunale di Roma, chiedendo la condanna del Ministero responsabile, per i profili di responsabilità extracontrattuale e civile da reato.
Quantificazione danno non patrimoniale (SS.UU. 6215/2022)
Le prestazioni sia previdenziali che risarcitorie si misurano sul grado di invalidità. Sia lo speciale assegno vitalizio che l’assegno vitalizio mensile sono erogati solo a coloro riconosciuti con un grado di invalidità non inferiore al 25%. Il criterio per la quantificazione è quello del dPR 181 del 2009 e non l’art. 5 d.P.R. n. 243/2006, con gli artt. 5 e 6 I. n. 206/2004.
Si tratta di una tutela importante, perché il Legislatore ha sancito che l’invalidità rilevante deve comprendere anche il danno morale subito. Ciò comporta una rivalutazione retroattiva delle prestazioni su istanza dell’interessato.
Causa di servizio nella Guerra del Kosovo
I militari impiegati nelle missioni in Kosovo che hanno riportato malattia devono ottenere lo status di vittime del dovere. Per ottenere questo status è necessario in primis ottenere il riconoscimento della causa di servizio, attraverso il nesso tra la malattia e la missione svolta. Questo “suffragato dai referti medici che attestano la presenza metalli pesanti, in forma di micro e nano particelle, ed elementi chimici in quantità a volte esorbitanti e quindi non altrimenti spiegabili se non attraverso l’esposizione a sostanze inquinanti presumibilmente presenti nell’ambiente di lavoro” (Consiglio di Stato, II sezione, n. 5816/2021).
“In caso di infermità contratte da militari a causa dell’esposizione a polveri sottili derivanti dall’uranio impoverito, il verificarsi dell’evento costituisce un dato ex se sufficiente a ingenerare il diritto per le vittime delle patologie e per i loro familiari al risarcimento a meno che la Pubblica amministrazione non riesca a dimostrare che essa non aveva determinato l’insorgenza della patologia la quale dipenda, invece, da fattori esogeni, dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica e determinanti per l’insorgere dell’infermità” (T.A.R. Torino, (Piemonte), sez. I, 06/03/2015, n. 429).
Guerra del Kosovo: quando si riconosce la causa di servizio
Ai sensi dell’art. 6 del DPR 243/2006, sovrapponibile a quella di cui all’art. 7 del DPR 461/2001, per la causa di servizio si ha la rilevanza di qualsiasi causa che abbia anche solo contribuito a:
- anticipare l’insorgenza;
- aggravare le infermità;
- anticipare la data della morte.
È causa efficiente e determinante anche a titolo concausale, ex art. 64, 1° e 2° co., del DPR 1092/1973, rispetto alle regole della responsabilità civile, che non trovano applicazione nell’ambito dell’accertamento della causa di servizio in particolari condizioni ambientali ed operative eccedenti l’ordinarietà, ai sensi dell’art. 1, co. 564, L. 266/2005, e art. 1 del d.p.r. 243/2006.
Guerra del Kosovo: vittime del dovere
L’art. 1, co. 564, L. 266/2005, e art. 1 del d.p.r. 243/2006 recita: «Laddove, invece, l’istanza tenda alla percezione della speciale elargizione, si verte in un ben diverso ambito indennitario. I presupposti del risarcimento del danno e della speciale elargizione sono del tutto diversi. Nel primo caso l’integrazione di tutti gli elementi propri di un’ipotesi di responsabilità civile, tra cui pure la prova del nesso eziologico e dell’elemento soggettivo in capo al danneggiante.
Invece nel secondo caso la mera dimostrazione di aver affrontato – senza che ciò integri “colpa” dell’Amministrazione – “particolari condizioni ambientali od operative”, connotate da un carattere “straordinario” rispetto alle forme di ordinaria prestazione del servizio, che siano la verosimile causa di un’infermità. Inoltre, il risarcimento del danno compete a chiunque e dipende nel quantum dall’effettivo danno riportato, mentre la speciale elargizione spetta solo ai soggetti individuati dalla legge ed è quantificata a monte in misura predeterminata» (Consiglio di Stato, II sezione, n. 5816/2021).
Guerra del Kosovo: equiparazione vittime del dovere
Vediamo di seguito perché per i militari in missione che hanno riportato una malattia correlata all’esposizione all’uranio impoverito e a nano particelle di metalli pesanti deve vigere la totale equiparazione a vittime del dovere. Ovvero la conferma del nesso causale e/o della causa di servizio in particolari condizioni ambientali ed operative eccedenti l’ordinarietà, ai sensi dell’art. 1, co. 564, L. 266/2005, e art. 1 del d.p.r. 243/2006.
L’art. 1 del d.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 definisce le missioni come attività di qualunque natura, anche ordinarie funzioni e mansioni, “quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall’Autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente”.
La stessa sentenza già citata afferma che: “per particolari condizioni ambientali o operative“, si intendono “le condizioni comunque implicanti l’esistenza o anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi e fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’istituto”.
Sulla base di SS.UU. 15055/2017, le “particolari condizioni ambientali e operative” sono legate anche a “grave errore organizzativo“, che è individuabile nella “imprudente organizzazione del servizio da parte dell’organizzazione“, che ha aggravato il rischio (così Tribunale di Palermo, sezione lavoro, sentenza n. 2420/2020, pubblicata il 03.09.2020, a definizione del proc. n. 7696/2015 RG). Quindi per missione in condizione di rischio si intendono tutte le attività che hanno comportato una violazione di regole cautelari.
Guerra del Kosovo e mancanza di precauzioni
I militari che hanno contratto infermità a causa dell’esposizione operaono senza dispositivi personali di protezione in locali, e svolsero le loro mansioni in aree, luoghi, situazioni sprovvisti/e di appropriati specifici e dedicati “sistemi di sicurezza”.
Inoltre è richiesto un quid pluris di disagio sofferto nel corso dell’espletamento del servizio: tale disagio consegue al carattere “straordinario” della prestazione del servizio, da cui sia conseguita la sottoposizione dell’istante “a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”.
Va sottolineato che l’appartenenza alle Forze Armate, oltre a comportare di per sé condizioni di vita strutturalmente più gravose rispetto all’impiego civile (a mero titolo di esempio, sottoposizione a rigido vincolo gerarchico, continuo addestramento fisico, pronta reperibilità, frequenti trasferimenti, et similia), impone al militare di esporsi al pericolo: dunque la “straordinarietà” richiesta dall’art. 1079 D.P.R. n. 90 del 2010.
Guerra del Kosovo: accertamento e presunzione
Il complesso normativo di riferimento è quello di cui all’art. 1078 del DPR 90/2010, in combinato disposto con l’art. 603 del D.L.vo 66/2010, e con l’ambito di applicazione quello di cui all’art. 1079 dello stesso DPR 90/2010.
Il Piombo, il Cromo, il Mercurio, il Rame e lo Zinco sono tra i metalli pesanti individuati ex art. 1078 (Capo II – Soggetti che hanno contratto infermità o patologie tumorali per particolari condizioni ambientali ed operative) del D.P.R. 15 marzo 2010 n.90 quali responsabili, se introdotti nell’organismo umano in dimensioni nanometriche, dell’insorgenza di patologie tumorali; al pari delle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti.
Il DPR 90/2010 all’art. 1078 definisce il trattamento previdenziale e per le invalidità di servizio ai soggetti esposti a particolari fattori di rischio, che hanno contratto infermità o patologie tumorali per particolari condizioni ambientali od operative, per cui rilevano le missioni e allo stesso tempo il teatro operativo all’estero, e le particolari condizioni, già di per sé e per effetto di tale impiego.
Cosa significa il concetto di interdipendenza?
Il successivo art. 1079 prevede che ai soggetti siano corrisposte le elargizioni previste per le vittime del dovere. In ambito previdenziale e più specificamente nella pensionistica privilegiata, vige il concetto della interdipendenza. È un rapporto di causalità, giuridicamente rilevante, che consente di correlare un’invalidità, già indennizzata, ad ogni altra menomazione dell’integrità anatomo-funzionale, diffusione o complicazione, nosograficamente nuova e diversa, interessante lo stesso organo o apparati o organi ed apparati cofunzionali, tanto che il danno anatomo-funzionale deve essere valutato nel suo complesso, per cui similare ragionamento in termini di rapporto causale e di interdipendenza deve applicarsi nella ricostruzione dell’evento.
Per cui «Il fatto che, allo stato delle conoscenze scientifiche, non sia acclarata l’effettiva valenza patogenetica dell’esposizione all’uranio impoverito non osta, dunque, al diritto alla percezione dell’indennità, che comunque spetta allorché l’istante abbia contratto un’infermità verosimilmente a causa di “particolari condizioni ambientali ed operative”, di cui “l’esposizione e l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico” costituiscono solo un possibile aspetto» (Consiglio di Stato, II sezione, n. 5816/2021).
Il nesso causale per le vittime del dovere
Il concetto di vittima del dovere coinvolge l’applicazione del principio di inversione dell’onere della prova riguardo all’esposizione ad uranio impoverito e amianto, estendendo le tutele a chi ha svolto servizio in attività specifiche, sia in patria che all’estero. Le esposizioni rilevanti includono quelle indirette e per contaminazione del lungo servizio, in missioni e poligoni di tiro.
Il beneficio per le vittime del dovere si basa sulle “gravose condizioni ambientali e operative” e la contrazione di infermità. In caso di decesso, il coniuge, il convivente, i figli superstiti, i genitori o i fratelli conviventi e a carico possono beneficiare dei benefici.
Nesso causale per le vittime del dovere nella guerra in Kosovo
Nel contesto della Guerra del Kosovo, il nesso causale è discusso, specialmente per patologie gravi che hanno portato al decesso di militari. L’opinione del C.V.C.S. sulla mancanza di certezza scientifica è contestata dal T.A.R. Genova, che sottolinea l’importanza del criterio probabilistico-statistico.
Guerra del Kosovo: criterio di probabilità
In tale ottica, il verificarsi dell’evento costituisce ex se un dato sufficiente, secondo il cosiddetto «criterio di probabilità», a far sì che le vittime delle patologie abbiano diritto ai benefici previsti dalla legislazione vigente ogni qual volta, accertata l’esposizione del militare all’inquinante in parola, l’amministrazione non riesca a dimostrare che essa non abbia determinato l’insorgenza della patologia e che questa dipenda, invece, da fattori esogeni dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica”.
«In concordanza con il «criterio di probabilità» proposto e fatto proprio dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta istituita con Delibera del Senato dell’11 ottobre 2006, le malattie emolinfopoietiche appaiono essere compatibili con l’esposizione del personale militare inviato nei Balcani agli inquinanti chimici e radiologici presenti nell’ambiente, già teatro di guerra; inquinanti che avrebbero agevolmente generato, attraverso radiazioni assorbite con contaminazione interna, la comparsa di tali morbilità.
La Commissione parlamentare d’inchiesta sostiene l’applicazione del “criterio di probabilità” per garantire benefici alle vittime di esposizione ad inquinanti chimici e radiologici nei teatri operativi.
Guerra del Kosovo e le situazioni di rischio
Il mancato utilizzo di nessuna protezione e nessuna particolare precauzione va a confermare tale ipotesi, tanto più che si usufruiva e veniva comunemente utilizzata l’acqua del posto per la pulizia della persona e del vestiario, delle cose, delle infrastrutture ed immobili, e per la preparazione del cibo» (v. pag. 270 – coerente con Consiglio di Stato, sentenza n. 5816/2021), ribadito nelle pagg. da 83 a 85 della relazione finale della Commissione Parlamentare d’Inchiesta della Camera dei Deputati del 07.02.2018, da cui non si può prescindere.
“La probabile connessione tra l’esposizione all’uranio impoverito e l’insorgenza di gravi patologie, anche di natura oncologica, ha indotto l’ONU a vietare l’utilizzo di armi contenenti tale elemento (risoluzione n. 1996/16) e diversi Paesi hanno assunto misure di protezione e di precauzione a favore dei militari impiegati nelle operazioni NATO. Va, quindi, riconosciuta la responsabilità del Ministero della Difesa, secondo la fattispecie astratta dell’art. 2087 c.c., nel caso di contrazione da parte del militare impegnato in missioni ad alto rischio della patologia ematoncologica classificata come Linfoma di Hodgkin, a causa dell’assenza di dispositivi di protezione personale ed informazioni sull’utilizzo di armamenti e proiettili ad uranio impoverito.” (T.A.R. Aosta, (Valle d’Aosta), sez. I, 20/09/2017, n. 56).
I lavori della Commissione Parlamentare d’Inchiesta
Nei lavori della Commissione Parlamentare d’Inchiesta, e in particolare nell’audizione del 06.12.2017, l’Avv. Ezio Bonanni ha depositato agli atti della Commissione, Consiglio di Stato 837/2016, che afferma il principio dell’onere della prova di escludere il nesso causale, a carico dell’amministrazione, riferito all’esposizione a radiazioni e nanoparticelle dovuto all’uso di proiettili all’uranio impoverito e alla pratica vaccinale.
La Relazione finale della Commissione Parlamentare d’Inchiesta della Camera dei Deputati ha confermato la condizione di rischio per i nostri militari dell’Esercito, in particolare per quelli inviati in missione in Kosovo e Bosnia.
Il mancato utilizzo di protezioni e precauzioni nei confronti dell’uranio impoverito nei Balcani evidenzia il rischio e rafforza l’ipotesi di connessione tra l’esposizione e gravi patologie, come indicato anche dalle risoluzioni dell’ONU. L’assenza di dispositivi di protezione e informazioni sull’utilizzo di armamenti ad uranio impoverito implica la responsabilità del Ministero della Difesa in casi di contrazione di patologie gravi da parte del personale militare impiegato in missioni ad alto rischio.