Il processo Marina Bis: vittoria per le vittime dell’amianto della Marina Militare
In questa pagina seguiamo le vicende del processo Marina Bis in cui l’ONA Osservatorio Nazionale Amianto si è costituito parte civile alla prima udienza. Il processo è stato seguito dall’Avvocato Ezio Bonanni, Presidente dell’ONA e dell’Osservatorio Vittime del Dovere. Da decenni si batte per la giustizia a favore delle vittime dell’amianto e in particolare delle vittime del dovere tra i militari dello Stato Italiano.
Il processo fa riferimento alle vicende giudiziali a carico degli ammiragli accusati di omicidio colposo per la morte dei sottoposti esposti ad amianto.
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Rinviati a giudizio dal Tribunale di Padova
In prima battuta il Tribunale di Padova ha rinviato a giudizio i quattordici imputati nel processo “Marina Militare bis”, ai sensi degli articoli 113, 589 e 590 del Codice Penale: omicidio colposo, lesioni personali colpose e cooperazione nel delitto colposo. Questo in seguito all’inchiesta del 2005 dopo la morte per mesotelioma pleurico del capitano di vascello Giuseppe Calabrò di Siracusa e del meccanico Giovanni Baglivo di Tricase.
In seguito sono arrivate in procura altre 600 cartelle cliniche di militari ammalati di cui la metà deceduti. Molti di loro e i loro famigliari sono stati difesi dall’Avvocato Ezio Bonanni.
Alla sbarra l’ex Capo di Stato maggiore della Marina Militare Filippo Ruggiero, gli allora direttori generali di Navalcostarmi Lamberto Caporali e Francesco Chianura, quelli della Sanità Militare Elvio Melorio, Agostino Didonna e Guido Cucciniello e l’ex comandante in capo della squadra navale Mario Porta e ancora Antonio Bocchieri, Mario Di Martino, Angelo Mariani, Luciano Monego, Umberto Guarnieri, Sergio Natalicchio, Guido Venturoni.
Udienza dibattimentale del 25 maggio 2015
Secondo la notifica emessa il 20 ottobre del 2013 dal GUP Cristina Cavaggion – letta la richiesta di rinvio a giudizio emessa dal PM Sergio Dini -, gli imputati avevano omesso i rischi per la salute a cui il personale della Marina Militare era esposto. Sia negli ambienti di vita e lavoro a bordo delle navi militari che a seguito delle lavorazioni in cui erano coinvolti.
Inoltre hanno omesso di sottoporre a sorveglianza sanitaria regolare gli esposti al rischio, privi di dispositivi di protezione individuale. Nessuna misura veniva inoltre adottata per limitare la diffusione delle polveri di amianto.
L’ONA Onlus si è costituita parte civile all’udienza del 25.05.2015.
Marina bis: l’intervento dell’Avv.Bonanni sui documenti segreti spuntati al processo
Come ha spiegato lo stesso avvocato: «Un documento della Direzione di Sanità della Marina Militare che risale al 1969, risultato di una indagine epidemiologica, dimostra che su un campione di 269 operai che lavoravano allora presso l’Arsenale di Taranto, il 10% era affetto da mesotelioma o asbestosi. Un altro 16% presentava sintomi sospetti» e che le persone per cui la diagnosi non fosse certa, e tutti gli altri, hanno continuato a lavorare in esposizione ad amianto. Non solo.
«Le carte dimostrano che il rischio era conosciuto ben prima, tanto è vero che l’asbestosi è riconosciuta dalla L. 455/43, come dimostra la premessa della proposta di legge. Un’epidemia già in corso nei primi anni ’40 in tutta Italia e quindi a maggior ragione la Marina Militare avrebbe dovuto utilizzare materiali sostitutivi dell’amianto.
Quindi nel processo penale di Padova, oltre a questi documenti che dimostrano che la Marina era a conoscenza della pericolosità dell’amianto ben ventidue anni prima della sua messa a bando, avvenuto nel 1992, che questa strage era non solo prevedibile ma anche evitabile e che il primo colpevole era lo Stato che non ha rispettato le sue stesse leggi, ed è per questo che c’è una precisa responsabilità e dunque un obbligo di risarcimento dei danni». Queste sono le ragioni sostenute dall’Avv. Ezio Bonanni, non solo in sede penale, ma anche in sede civile.
I sindacati e i vertici della Marina Militare erano a consocenza del problema
Agli atti del processo di Padova sono finiti anche dei documenti riservati che provano la consapevolezza da parte della Marina Militare dei rischi causati dall’amianto e dei casi di malattia e da parte dei Sindacati.
Agli atti anche il carteggio in cui il dottor Luigi Ambrosi, direttore della Cattedra di medicina del lavoro dell’Università di Bari, chiedeva alla direzione della marina militare: «di poter condurre uno studio scientifico a carattere epidemiologico – statistico ed ambientale sull’Arsenale di Taranto. Il carattere squisitamente scientifico di tali indagini, i cui risultati sarebbero rimasti a disposizione esclusivamente della Direzione di Sanità militare, e non sarebbero stati forniti ad alcun ente, organizzazione politica o sindacale, estraneo alla Marina».
La reazione dei vertici militari fu questa: «È in corso, in collaborazione con la sala medica, un’azione intesa ad allontanare dal posto di lavoro gli elementi più colpiti, un’ azione che dovrà essere opportunamente differita nel tempo per evitare allarmi eccessivi ed ingiustificati».
Nella lettera del 14 febbraio del 1970, scritta dal generale Mario Ingravallo, allora direttore dell’Arsenale di Taranto, e indirizzata a Navalcostarmi, la Direzione Generale delle Costruzioni, delle Armi e degli Armamenti Navali, ente alle dirette dipendenze dello Stato Maggiore del Ministero della Difesa si legge: «Si fa presente che il problema è attualmente noto alle organizzazioni sindacali, che ne sono al corrente attraverso le visite mediche effettuate agli operai ».
Le indagini parlamentari successivamente svolte
Nel maggio 2016, la Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell’utilizzo dell’uranio impoverito (incaricata di indagare sui casi di gravi malattie del personale impiegato nei siti in cui sono depositati munizionamenti) è stata all’Arsenale di Taranto, effettuando un sopralluogo.
«Per poter acquisire un quadro aggiornato delle condizioni di lavoro dei dipendenti della Difesa impiegati sul posto, ma anche per svolgere una serie di audizioni con i diversi soggetti interessati sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro». Come ha spiegato la parlamentare Donatella Duranti, vice presidente della Commissione: «L’Arsenale è un ambiente condizionato da una molteplicità di fattori patogeni. Ed proprio sulla non invidiabile specificità di questo luogo, che la commissione di inchiesta è stata chiamata ad indagare». A quella visita, poi, si sono aggiunte diverse audizioni. La Commissione ha sentito le parti sociali e i vertici militari di oggi.
Marina Bis e risarcimento dei danni
Le vittime, parti offese nel processo penale Marina Bis, sono costituite quali parti civili. In altri termini, hanno esercitato l’azione civile nel processo penale. Il loro diritto al risarcimento è sancito dall’art. 20, co. 2, della L. 183/2010, che integra le altre norme.
Purtroppo, con la morte di molti imputati e con la prescrizione di alcuni titoli di reato, le vittime dovranno agire in sede civile. Quest’ultima possibilità sussiste anche per coloro che non si sono mai costituiti.
Per cui, l’ONA – Osservatorio Nazionale Amianto – ha costituito un gruppo di lavoro, di tecnici, medici e avvocati, per supportare le vittime.
Marina Bis e risarcimento danni in sede civile
Nel caso di un Sottoufficiale della Marina, già parte offesa, dopo la morte del reo, l’Avv. Ezio Bonanni ha attivato la tutela legale innanzi il Tribunale di Roma. Quest’ultimo ha emesso una condanna storica: Tribunale di Roma, II sez. Civ., sent. n. 17002/21.
Così per un Sottoufficiale di macchina: Tribunale di Roma, II sezione civile, sentenza n. 7951/2020 pubblicata il 01/06/2020 a definizione del proc. n. 16970/2016 RG. Ancora per il caso di un sommergibilista di leva, che, nel corso del suo servizio è stato esposto, anch’egli, ad amianto. In questo caso ancora una condanna a carico della Marina Militare Italiana e cioè del Ministero della Difesa.
Infatti, il Tribunale di Roma, II sezione civile, sentenza n. 11030/2021, lo ha ribadito. Le ragioni della condanna risiedono nelle violazioni delle regole cautelari, e in particolare dell’art. 2087 c.c.
Aggiornamento procedimento penale Marina Bis
La sentenza assolutoria, è stata impugnata dal Procuratore Generale della Corte di Appello di Venezia.
Infatti, rispetto alla sentenza assolutoria penale, l’atto di appello del Procuratore Generale ha evidenziato l’ingiustizia della decisione.
Le condanne della Corte di Appello di Venezia
La III Sezione della Corte di Appello di Venezia, ha ribaltato il processo Marina-bis, dopo tre anni di estenuanti battaglie giudiziarie.
Presieduto dalla dott.ssa Patrizia Vincenzina Montuori, l’Appello ha riformato parzialmente la sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Padova.
Sei, gli imputati chiamati a rispondere per la morte di undici lavoratori vittime di amianto.
Si tratta di Guido Venturoni, Agostino Di Donna, Angelo Mariani, Sergio Natalicchio, Mario Di Martino e Umberto Guarnieri.
Gli ammiragli non avrebbero provveduto a proteggere la salute dei lavoratori, esposti per anni alla terribile fibra dell’amianto, di cui le navi erano cariche.
Inoltre non avrebbero resi “edotti i lavoratori dei rischi, dovuti alla presenza delle fibre killer”, secondo, quanto previsto del DPR n° 303 del 1956, art.21. Una mancanza di scelte in un quadro che già dal primo ‘900 rendeva chiaro, secondo il giudice, come la presenza nei luoghi di lavoro dell’amianto dovesse essere sottoposta a particolari cautele (R.D. n. 442/1909 articolo 29, tabella B, n° 12) perché insalubre e pericolosa.
Decisiva la perizia della Corte di Appello
Agostino di Donna è stato condannato alla pena di due anni di reclusione, Angelo Mariani e Guido Venturono, entrambi a un anno e sei mesi, Sergio Natalicchio a un anno di reclusione.
Decisiva la super perizia disposta in fase processuale dalla stessa Corte di Appello, su richiesta delle parti civili.
Essa «ha confermato e ribadito la sussistenza di un rapporto causale tra l’esposizione patita da ogni singolo lavoratore e l’insorgenza della relativa malattia, nonché l’altissima concentrazione di polveri e fibre di amianto inalate dai Marinai», sostiene in una nota l’avvocato Bonanni.
Nota bene. Inizialmente, il processo aveva visto imputati tredici alti ufficiali (tre di quali sono deceduti) della Marina militare, della Sanità militare e di Navalcostarmi.
La “Marina affonda sull’amianto”. Una vittoria dell’ONA
«Giustizia è fatta, la Marina affonda sull’amianto! Continueremo a sollecitare le bonifiche, la messa in sicurezza delle nostre unità navali, e la tutela giuridica, anche con risarcimenti, senza necessità, speriamo, di dover sempre ricorrere all’Autorità giudiziaria».
Questo il commento dell’avv. Ezio Bonanni, legale dei familiari di Tommaso Caserta e Francesco Paolo Sorgente.
Oltre al risarcimento dei danni a favore delle parti civili costituite, agli eredi sarà pagata una provvisionale immediatamente esecutiva pari a €50.000,00 ciascuno. Per loro si applicherà lo “iure hereditatis”.
Cosa succederà a livello giudiziario?
Per mettere la parola fine sulla triste vicenda giudiziaria, bisognerà aspettare ancora. Probabilmente si andrà in Cassazione e di fatto i tempi si allungheranno. Ad ogni modo, la sentenza d’Appello rappresenta un punto di svolta decisivo. Ma approfondiamo qualche aspetto della “questione amianto” in Marina.
Alla Marina il record negativo
Nessun ramo delle forze armate ha subito più esposizione all’amianto di quello della Marina.
Oltre al mesotelioma, i suoi membri hanno sviluppato altre malattie legate all’amianto, tra cui il cancro ai polmoni, il cancro della laringe e l’asbestosi. I dipendenti della Marina che hanno prestato servizio negli ultimi 50 anni rimangono a rischio di sviluppare il mesotelioma, perché ci vogliono decenni perché l’amianto causi danni che portano al cancro.
Alcuni vecchi prodotti amianto rimangono nelle navi, nei cantieri navali e nelle basi della Marina.


