Sindrome dei Balcani: cos’è e assistenza legale alle vittime
La Sindrome dei Balcani è un insieme di gravi malattie, tra cui diversi tipi di cancro e linfomi, che hanno colpito i soldati dopo il loro ritorno dalle missioni nei Balcani.
Il primo caso italiano di questa sindrome fu quello di Salvatore Vacca, un soldato sardo che morì di leucemia nel 1999 dopo essere tornato dalla missione in Bosnia ed Erzegovina. La causa della sindrome dei Balcani è legata all’uso di uranio impoverito, un materiale radioattivo utilizzato nella produzione di armi, bombe e proiettili.
Colpendo il bersaglio genera altissime temperature e sprigiona nanoparticelle di metalli pesanti. Esse vengono inalate e assorbite dai soldati durante le operazioni militari.
Le armi contenenti uranio impoverito furono utilizzate per la prima volta nella Guerra in Kosovo e successivamente nelle guerre jugoslave. Gli effetti dei metalli sono stati aggravati da errori nelle procedure di vaccinazione. Alcune cause legali relative a questa sindrome sono ancora in corso.
L’Osservatorio Vittime del Dovere dell’ONA si impegna nella difesa dei militari italiani affetti dalla Sindrome dei Balcani per ottenere il riconoscimento dei risarcimenti e degli indennizzi a cui hanno diritto.
Per ottenere una consulenza legale gratuita basta compilare il form che trovate alla fine di questa pagina. L’impegno di ONA non si limita solo alla tutela legale, ma include anche attività di informazione e sensibilizzazione tramite conferenze e articoli riguardanti questo grave problema che coinvolge lo Stato.
Che cos’è l’epidemia conosciuta come Sindrome dei Balcani?
L’epidemia conosciuta come Sindrome dei Balcani è iniziata alla fine degli anni ’90 e ha colpito almeno 7.500 militari italiani, di cui almeno 372 sono deceduti secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Amianto.
Durante le missioni, i nostri militari sono stati esposti in abbondanza a metalli pesanti, nanoparticelle, polveri e fibre di amianto rilasciati dalle armi contenenti uranio impoverito.
Questa esposizione ha causato un’epidemia di tumori, specialmente considerando che il sistema immunitario dei soldati era già indebolito a causa di un aggressivo e errato programma vaccinale.
Uranio impoverito: che cos’è e conseguenze per la salute
L’uranio impoverito è un sottoprodotto del processo di arricchimento dell’uranio. Su usa nelle armi militari per la sua alta densità, che permette una maggiore penetrazione delle corazzature.
Quando un proiettile contenente uranio impoverito colpisce un bersaglio, rilascia nell’ambiente nanoparticelle di metalli pesanti, tra cui il piombo, che è considerato un possibile cancerogeno per l’uomo ( IARC nel volume 77 del 2006 ).
L’inalazione di uranio impoverito fa sì che il metallo radioattivo si depositi nei polmoni e in altri organi, causando diversi tipi di cancro.
L’uranio impoverito viene utilizzato non solo nelle munizioni militari, ma anche in applicazioni civili come contrappesi per gli ascensori degli aerei, nelle apparecchiature radiografiche e in altre applicazioni industriali.
Tuttavia, l’uso dell’uranio impoverito richiede specifiche autorizzazioni a causa delle sue proprietà chimiche analoghe a quelle dell’uranio naturale, che comportano rischi tossicologici e cancerogeni.
Materiale utilizzabile solo dietro autorizzazioni specifiche
La Commissione di Regolamentazione del Nucleare degli Stati Uniti classifica l’UI come materiale utilizzabile solo dietro autorizzazioni generali specifiche. Infatti le proprietà chimiche e metalliche dell’UI sono del tutto analoghe a quelle dell’Uranio naturale e implicano rischi simili per quanto riguarda la tossicità chimica e radiologica.
L’autorizzazione generale consente l’uso e il trasporto di UI in quantità di 15 libbre (6,8 kg) per volta fino a un massimo di 150 libbre all’anno (68 kg). Per le autorizzazioni specifiche è necessario presentare una documentazione scritta dell’uso previsto per il metallo e specifici riferimenti all’equipaggiamento, all’osservanza delle norme sanitarie e di sicurezza e alla preparazione del personale.
La puntata di ONA TV: Uranio impoverito, la dura battaglia dei militari italiani approfondisce il tema dei fattori di rischio per i soldati italiani rispetto all’uranio impoverito in ex-Jugoslavia.
La Strage dei Balcani: una cronaca dolorosa
La NATO in Bosnia-Erzegovina negli anni ’90 e durante la crisi in Kosovo, utilizzò munizioni anticarro contenenti uranio impoverito (UI). Queste munizioni causarono gravi conseguenze per le persone coinvolte, anche tra la popolazione civile.
Durante la guerra in Bosnia-Erzegovina (1994-1995), gli aerei statunitensi spararono circa 10.000 colpi di munizioni con UI, equivalenti a 2,75 tonnellate. Durante il bombardamento delle truppe serbe e filo-serbe in Kosovo nel 1999, furono sparati più di 31.000 colpi di munizioni, corrispondenti a circa 8,5 tonnellate di UI.
L’area di responsabilità del contingente italiano in Kosovo fu quella più colpita dai bombardamenti e con la maggiore presenza di proiettili ad uranio impoverito. Sono 50 i siti individuati con un totale di 17.237 proiettili contenenti uranio impoverito.
Nelle regioni coinvolte si registrò un aumento significativo di malattie maligne del sistema ematopoietico e del tratto gastrointestinale, sia tra i militari che tra i civili. Il termine “Sindrome dei Balcani” fu associato a queste malattie.
Sindrome dei Balcani: il caso di Savatore Vacca
Un caso emblematico della Sindrome dei Balcani è quello di Salvatore Vacca, un caporalmaggiore sardo che morì di leucemia il 9 settembre 1999. Vacca prestava servizio nella brigata Sassari ed è il primo militare italiano noto a essere deceduto a causa della Sindrome dei Balcani.
Durante la sua permanenza in Albania, Vacca ha subito sette vaccinazioni in tredici giorni. Una relazione diretta tra i vaccini e la leucemia, come confermato dal professor Aiuti, immunologo, dopo un’attenta analisi, non è chiara.
Tuttavia, il 16 settembre 1999, si sollevò per la prima volta il sospetto di un possibile collegamento tra la morte di un militare e l’uranio impoverito. Questo avvenne durante un’interrogazione parlamentare nella commissione Difesa.
Sindrome dei Balcani: le inchieste parlamentari
Nel corso del tempo, i casi di decessi per tumore aumentarono. Nel dicembre 2000, il sergente maggiore dell’esercito Andrea Antonàci rivelò il suo caso al programma televisivo “Striscia la notizia” di Mediaset, attirando l’attenzione dei media sull’argomento.
Successivamente, fu istituita una commissione medico-scientifica presieduta dal professor Francesco Mandelli, ematologo, su iniziativa del ministro della Difesa Sergio Mattarella. La commissione confermò l’uso di munizioni ad uranio impoverito nei Balcani da parte della NATO.
Furono sparati circa 31.000 proiettili, equivalenti a più di 13 tonnellate di materiale radioattivo, dagli aerei anticarro americani A-10 solo in Kosovo.
Secondo Falco Accame, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime delle Forze Armate, i vertici militari italiani erano a conoscenza dell’uso dei proiettili all’uranio impoverito sin dal 1994. Solo nel novembre 1999 furono distribuiti ai soldati opuscoli contenenti le norme di sicurezza relative ai rischi dell’uranio impoverito.
Inchieste sulla Sindrome del Balcani: le conclusioni
Le indagini condotte dalla commissione d’inchiesta approvarono l’uso legittimo dei proiettili all’uranio impoverito in base al diritto internazionale. La relazione finale della commissione, presentata dal professor Mandelli, evidenziò un eccesso statisticamente significativo di casi di Linfoma di Hodgkin, ma non fu possibile identificare le cause specifiche delle malattie. Si raccomandarono ulteriori studi epidemiologici per ottenere risultati più approfonditi.
L’istituzione di una Commissione ad hoc
Il 15 settembre 2004, fu approvata l’istituzione di una commissione ad hoc per approfondire ulteriormente la questione. La commissione svolse audizioni e missioni sul campo, coinvolgendo 51 persone tra cariche istituzionali, militari italiani ed esperti. La relazione finale fu approvata il 1° marzo 2006, e non emersero prove che collegassero direttamente le patologie alle radiazioni ionizzanti o alla contaminazione chimica derivante dall’uranio impoverito. Tuttavia, la relazione ha evidenziato possibili influenze di fattori ambientali e inquinanti derivanti dalle operazioni belliche.
In particolare: “L’inalazione di nanoparticelle, corpuscoli di forma sferica di grandezza inferiore a un micron che sembrano prodursi in presenza di altissime temperature – dell’ordine dei 3.000ºC – e` stata indicata come possibile causa di aumentata incidenza di tumori. Tali temperature risultano in particolare – per cio` che qui interessa – essere generate dall’impatto di proiettili a UI con le superfici colpite (corazzature di carri armati, depositi di munizionamento). Cio` suggerisce l’ipotesi di un ruolo indiretto dell’UI nel promuovere le patologie oggetto di valutazione, attraverso l’inalazione delle nanoparticelle da esso generate, che sembrano essere suscettibili di dispersione anche a grande distanza dal luogo dell’impatto dei proiettili e per un periodo di tempo allo stato non valutabile”.
Cosa dice la legge internazionale sull’UI?
Secondo la legge internazionale, la sottocommissione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la protezione delle minoranze approvò nel 1996 una risoluzione che vietava l’uso delle armi contenenti uranio impoverito. L’ONU ha espresso preoccupazione per le conseguenze a lungo termine di queste armi sulla vita umana e sull’ambiente, esortando tutti i Paesi a limitarne la produzione e la diffusione.
La Commissione Parlamentare d’Inchiesta della Camera dei Deputati della XVII Legislatura, presieduta dall’On.le Scanu, nella sua relazione finale dell’07.02.2018, ha espresso un duro atto di accusa per le condizioni di rischio con cui sono stati esposti i nostri militari, sia nelle missioni all’estero, tra cui quelle nei Balcani, sia in Italia.
Relazione finale della Commissione Parlamentare d’Inchiesta della Camera dei Deputati 07.02.2018
I danni dell’uso delle armi all’uranio impoverito con DU
Anche attraverso una singola esposizione, dovuta al semplice rilascio del materiale e del pulviscolo radioattivo proveniente dalla nube, si può inalare UI in quantità notevoli.
Ciò è dovuto al fatto che il diametro delle particelle è più sottile rispetto alle polveri di uranio di origine industriale, comuni nell’ambito dell’industria nucleare.
Si parla della grande maggioranza delle polveri contenuta nel range [1-10] micron, con una parte rilevante di diametro inferiore al micron.
Tra i danni elenchiamo:
- danni renali
- cancro ai polmoni, alle ossa e all’esofago
- problemi alla pelle
- disturbi neurocognitivi
- anomalie cromosomiche
- sindromi da immunodeficienza
- rare malattie renali ed intestinali
- malformazioni genetiche ai nascituri
Quando la polvere si dissolve, in quanto emittente di particelle alfa, l’uranio impoverito ha una vita media di 4.500 milioni di anni.
Per tali motivi, numerosi governi, organizzazioni umanitarie e organismi internazionali hanno chiesto una moratoria sul loro uso.
I danni alla salute da contaminazione
Nei casi di contaminazione interna, i composti solubili (uranili, UVI), provocano danni chimici. Questo a livello dei tubuli convoluti prossimali dei reni, dando luogo a ematuria, albuminuria, formazione di masse ialine e granulari all’interno delle cavità, azotemia e necrosi tubulare.
I polmoni trattengono i composti meno solubili (uranosi, UIV), se inalati, oppure si accumulano nell’osso durante la fase di mineralizzazione. Essi inoltre inibiscono il metabolismo dei carboidrati nel complesso dell’ATP-uranil-esochinasi. E, di conseguenza, nel blocco del trasferimento di fosfati al glucosio e nell’inibizione della prima fase dell’utilizzo metabolico dello zucchero.
L’elevata organo-specificità degli isotopi dell’uranio, combinata con una lunga emivita e con la radiazione corpuscolare, determina danni chimici e radiologici agli organi bersaglio. All’albero bronchioalveolare, ai reni e alle ossa, dando luogo ad alterazioni somatiche e genetiche e dunque cancro.
I diritti dei militari colpiti dalla Sindrome dei Balcani
La legge riconosce il diritto in base all’articolo 1, comma 563, della Legge 266/05. In ogni caso, esiste un intero insieme di regole specifiche che equiparano queste persone alle vittime del dovere, in visussiste il diritto con riferimento all’art. 1, co. 563, L. 266/05.
In ogni caso, vi è tutta la disciplina specifica dell’equiparazione a vittime del dovere, per effetto di quanto stabilito dall’art. 1, co. 1, lettera C, del D.P.R. 243/2006, in relazione all’art. 1, co. 564, L. 266/2005.
Le vittime del dovere sono coloro che hanno svolto un servizio in attività particolari, indicate nell’articolo 1, comma 563, della Legge 266/2005.
Successivamente, hanno esteso tali protezioni a coloro che hanno svolto missioni e attività in condizioni ambientali e operative specifiche.
Nel caso di malattie o decessi, sussiste il diritto al riconoscimento di tale status. In tutti i casi in cui ciò si è verificato:
- Nella lotta contro qualsiasi tipo di criminalità;
- Nell’adempimento di servizi di ordine pubblico;
- Nella sorveglianza di infrastrutture civili e militari;
- Nelle operazioni di soccorso;
- Nelle attività di tutela della pubblica incolumità;
- A causa di azioni in contesti di impiego internazionale che non necessariamente presentano caratteristiche ostili.
Riconoscimento dell’equiparazione alle vittime del dovere
Nei casi in cui tali lesioni si sono verificate durante lo svolgimento del proprio servizio in condizioni di rischio al di là della normale routine, si ha anche il diritto all’equiparazione totale alle vittime del dovere.
Si fa riferimento a condizioni ambientali e operative particolari che superano la normale routine (articolo 1, comma 564, Legge 266/2005 e articolo 1 del Decreto del Presidente della Repubblica 243/2006), tra cui l’esposizione all’amianto, alle nanoparticelle derivanti da proiettili all’uranio impoverito, alle radiazioni ionizzanti:
“per particolari condizioni ambientali o operative, le condizioni che implicano l’esistenza o l’insorgenza di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a rischi o sforzi maggiori rispetto alle normali condizioni di svolgimento dei compiti istituzionali”.
Quali sono i benefici previsti per le vittime del dovere
Per le vittime del dovere, come coloro che sono affetti dalla Sindrome dei Balcani, i benefici previsti dalla legge includono:
- Un’indennità speciale di 200.000 euro, oltre alla rivalutazione monetaria in caso di inidoneità al servizio o di invalidità non inferiore all’80% (nei casi diversi, 2.000 euro per ogni punto percentuale, oltre alla rivalutazione monetaria);
- Un assegno vitalizio mensile di 500 euro, a condizione che presentino una lesione invalidante.
- speciale assegno vitalizio di € 1.033,00 mensili, a condizione che abbiano una lesione invalidante pari al 25%;
- due annualità di pensione per gli aventi diritto alla reversibilità;
- esenzione Irpef sulle pensioni;
- assunzione per chiamata diretta con precedenza assoluta rispetto a ogni altra categoria (diritto esteso ai figli o al coniuge in caso di decesso o di invalidità che non consenta la prosecuzione dell’attività lavorativa);
- esenzione dal pagamento del ticket sanitario;
- accesso alle Borse di studio;
- assistenza psicologica.
Lo status di vittima del dovere è imprescrittibile, ai sensi dell’art. 2934 c.c., in relazione agli artt. 2 e 38 Cost. Questo principio è molto importante, perchè permette di ottenere la tutela anche nel caso in cui fossero trascorsi più di 10 anni rispetto all’evento lesivo.